Il segreto è la sintesi

Il segreto è la sintesi

Non è vero che il tempo che passa ci rende più vecchi.
Io ho imparato che quello che ti scorre tra le dita è solo il cumulo dell’esperienza passata, e i grani che restano nelle mani sono la sintesi della nostra storia, fatta di scoperta e attese, conquiste e sfide, ricordi e progetti.
Ho imparato a conoscere i tempi della vita, passandoci in mezzo. E oggi quando guardo i bambini sulla spiaggia di Licata immersi nei loro pensieri di costruttori di castelli, mi accorgo che il loro non è un semplice gioco ma una scoperta delle cose, un disvelarsi della vita attraverso le cose semplici.

Immerso nei miei pensieri, e con un po’ di invidia per quella spensieratezza in cui tutto è in potenza, prima della trasformazione, torno alla Madia guardando dentro le vetrine dei locali. Sulle bancarelle del mercato ortofrutticolo ad attrarmi sono i colori degli ingredienti più semplici.
Se ci penso, oggi mi piacciono gusti che da giovane fuggivo: l’amaro, per esempio. Il gusto cambia con l’età perché forse ci affiniamo, ci semplifichiamo, mentre magari tutto intorno a noi si complica. Un tempo, da giovane, come tutti gli “Chef” in attesa del proprio posto nel mondo, sentivo una forte spinta a stupire, a dimostrare, a fare bene perché mi venisse riconosciuto un merito, una conferma.
Oggi penso che la mia maturità, come uomo e come cuoco, stia nell’aver capito che la sintesi è il segreto.

Il tempo che ci sfugge davanti, la necessità di ancorarsi alle cose concrete, la selezione del poco e del buono.
Per questo prediligo una cucina semplice e allo stesso tempo precisa e curatissima. Tre ingredienti semplici, come tre ortaggi, oggi costruiscono una nota di primavera, una finestra di bellezza. Per questo i piatti nascono solo con l’età… per questo oggi so che con niente puoi creare un piatto. Puoi, anzi, creare la natura stessa, senza fronzoli, mettendola al centro.
In qualche modo, mi piace pensare che un cuoco cresca con i suoi ingredienti. Fino al punto, ad esempio, di valorizzare il finocchietto selvatico in un letto di verdure, al posto di sacrificarlo con un pesce importante, che ne oscurerebbe la forza debole e impalpabile del profumo, che è poi la sua ricchezza.